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La tradizione del falò di San Giuseppe. Bruciare i rami residui della potatura per celebrare l'arrivo della primavera.

Si riporta in vita una tradizione appartenente ai nostri padri e ai nostri nonni: il falò di San Giuseppe, a inizio primavera, è buon auspicio per la prossima annata.

Come la vite ha bisogno di buone radici per crescere rigogliosa e per produrre uva di qualità, così noi abbiamo bisogno di avere stabili fondamenta per andare lontano. Le nostre radici sono costituite soprattutto da quelle tradizioni che venivano praticate dai nostri avi e che sono state trasmesse per generazioni , di padre in figlio. L'insieme di queste usanze costituisce un patrimonio fondamentale per la vita di ogni uomo e di ogni paese ed è nostro dovere portarle avanti.

A questo proposito noi, della Cantina Berioli ci siamo dati da fare per riportare in vita una tradizione praticata nel piccolo paesino di Montesperello, situato nei pressi dei colli del lago Trasimeno. E si sa: più i pesi sono piccoli, più le tradizioni sono sentite; più sono sentite, più sono praticate; più sono praticate, più cementano il senso di appartenenza e accrescono il senso di rispetto per le proprie orgini.

La tradizione di cui parliamo è quella del falò del giorno prima di San Giuseppe. Il periodo in cui avviene è quello della fine della potatura: i nostri 12 ettari di superficie vitata sono allevati a doppio Guyot. Questo sistema, molto adatto per terreni con scarsa fertilità e siccitosi, prevede un tronco alto circa 60 cm, sul quale si inseriscono due capi a frutto, piegati parallelamente al terreno  e due speroni usati per dare i rinnovi per l'anno successivo. La potatura prevede tre fasi: il cosiddetto "taglio del passato" permette di asportare i capi a frutto che hanno prodotto l'anno precedente; il "taglio del presente" nel quale si scelgono due dei due tralci che si sono sviluppati dagli speroni;infine il "taglio del futuro" che consiste nel tagliare a due gemme lo sperone più basso dal quale si svilupperanno i tralci necessari per rinnovare la produzione futura. Portate a termine queste fasi delicate e minuziose ci troviamo ad avere dei tralci vecchi e dei residui di potatura, proprio i protagonisti del nostro falò.

Era infatti usanza, nelle vallate limitrofe al paese di Montesperello, accendere questi falò per celebrare l'arrivo della primavera e invocare una buona annata per la raccolta nei campi. Era uno stupore vedere questi fuochi illuminare tutto il paesaggio ed era uno spettacolo che infondeva gioia e speranza per l'annata successiva.

Il fuoco del falò in varie culture è simbolo della distruzione del vecchio e della rigenerazione del nuovo, rappresenta una rottura con il passato e apre le porte al futuro: non a caso è in questo periodo che la natura si risveglia, sbocciano i fiori negli alberi e possiamo assistere al cosiddetto "pianto della vite", quando in prossimità dei segni delle potature sgorgano delle piccole gocce di liquido trasparente, goccioline di linfa che preannunciano la fase di germogliamento.

Soprattutto negli antichi il passaggio da vecchio a nuovo era importantissimo ed era celebrato con diversi culti: la terra che ritrova la sua fertilità e la luce che prevale sull’oscurità, rievocavano il concetto atavico del trionfo della vita sulla morte. L’Antica Roma celebrava l’arrivo della primavera attraverso innumerevoli riti. Tra essi citiamo quelli intitolati alla dea Flora, protettrice dei fiori in boccio: i cosiddetti “Floralia”, quando la fioritura raggiungeva il suo apice, inneggiavano alla fecondità tramite cerimonie bucolico-orgiastiche. Nel mondo ellenico, sin dal VII secolo a.C, il risveglio della natura veniva salutato con i Misteri Eleusini. Suddivisi in una fase primaverile e in una autunnale, nella prima questi riti celebravano il ritorno dall’Ade di Persefone, che sarebbe rimasta accanto a sua madre Demetra per tutta l’Estate. I Misteri erano intrisi di simbologia sul ciclo eterno di vita, morte, rinascita, ma una “rinascita” ultraterrena e non solo nell’accezione campestre.

Il nostro falò può essere annoverato fra i culti praticati durante il passaggio da inverno a primavera, simboleggia la purificazione e la volontà di rimettersi al lavoro per produrre un'uva sana e di qualità, base essenziale per ottenere il nostro vino.

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Crediamo nella coltivazione biologica perché è sinonimo di qualità e genuinità.

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